Ma Scandola non è un ‘whistleblower’

Ora che è diventato un personaggio pubblico, a Fausto Scandola tocca il destino di essere tirato da tutte le parti.

Se infatti la giustizia interna della Cisl gli ha dato, nella migliore delle ipotesi, del tipo dai modi “villani” (nel lodo dei probiviri veneti) e nella peggiore ha giudicato la sua presenza assolutamente incompatibile con l’organizzazione tanto da espellerlo su due piedi, l’opinione pubblica e i giornali lo citano invece come ottimo esempio, ma ciascuno secondo il proprio punto di vista ed il proprio obiettivo da raggiungere.

Così, ad esempio, chi (come Enrico Marro sul Corriere della Sera) vuole la legge sui sindacati dice che questo caso dimostra che senza legge non c’è trasparenza (le banche e le loro fondazioni sono regolate per legge. Non vi sembra che qualche problemino di trasparenza ci sia anche da quelle parti? E nelle cooperative non ce ne sono mai stati?).

Un’altra versione fa riferimento al tema del ‘whistleblower’, come sono chiamati “coloro che dall’interno di un’organizzazione lavorativa denunciano comportamenti a loro dire illeciti, scorretti o che danneggiano il pubblico o la collettività”. Così ci informa un articolo sul blog “La Nuvola del Lavoro”, del Corriere della  Sera, firmato da un avvocato che fa parte di una rete internazionale di professionisti esperti in materia.

Abbiamo però l’impressione che ci sia qualche equivoco.

A noi sembra evidente che Scandola non ha chiesto leggi sulla trasparenza. Ha chiesto trasparenza e si è attivato nella Cisl per ottenerla (se nessuno si attiva, anche le leggi non servono a nulla). Neppure ha fatto un fischio per avvertire all’esterno che nella Cisl ci sarebbero fatti di corruzione (che è un reato, e quindi in questo caso avrebbe dovuto avvertire la Procura della Repubblica). Semmai ha posto un problema di natura etica e politica al tempo stesso, sottolineando che mentre i salari e le pensioni non crescono, i redditi complessivi dei dirigenti sindacali seguono l’andamento di quelli dei dirigenti in generale. Cioè crescono fin troppo. E non tanto in termini di retribuzione, quanto per effetto del cumulo di redditi diversi.

In questo modo, ha avvertito Scandola, si mina la rappresentanza sindacale, nella sua credibilità e nella sua efficacia. Gli esempi fatti, e ripresi dai giornali, sono eclatanti, ma sono appunto esempi di una tendenza generale che va interrotta, a prescindere dal fatto che ci siano violazioni di regole interne o esterne all’organizzazione (ché poi basta cambiare le regole e sparisce il problema).

Questo nodo, politico ed etico, Scandola lo ha posto agli organi politici della Cisl, cioè prima al segretario generale poi all’esecutivo. Ed ha agito correttamente, perché, nonostante la filastrocca che viene fatta girare per la Cisl per cui “avrebbe dovuto porre la questione ai probiviri” (così perfino l’ottimo Bentivogli), i problemi (anche) politici e organizzativi vanno posti in sede politica. Poi, se ci sono aspetti che riguardano le competenze giuridiche dei probiviri, sono gli organi politici a dover porre la questione al collegio (è il caso previsto dall’articolo 16 dello statuto; che ha anche un secondo comma …).

In breve, Scandola ha posto un problema alla Cisl e ora è la Cisl che lo deve risolvere. Non perché “altrimenti si fà la legge”, ma perché altrimenti la Cisl perde il proprio essere sindacato, la propria natura di strumento di autotutela collettiva dei lavoratori.

E, una volta persa, non gliela ridarebbero né le leggi di attuazione della Costituzione, né i servigi di qualche studio di esperti in tutela del ‘whistleblower’.

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Un Commento - Scrivi un commento

  1. Ma Marro (del Corrierone!!) non è lo stesso che per anni ha esaltato Bonanni ( e anche la sua riforma organizzativa) senza accorgersi che nascondeva calcoli esclusivamente di potere? ….quando l’informazione rincorre propri disegni non informa , non da notizia delle infami decisioni di licenziare due onesti lavoratori come Bianchi e Ori, per spendersi a sostegno della legge che regoli il sindacato!

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