2/La scelta di Pinuccio (contare fino a uno)
Redazione – admin 14 febbraio 2017 6 Commenti
Pier Luigi Trivelli, uno che interviene col nome e col cognome e di questo lo ringraziamo pur capendo chi preferisce non farlo, ha espresso alcuni dubbi sul nostro post “La scelta di Pinuccio“. Altri gli hanno risposto in forma anonima, ma ci è sembrato giusto fargli avere una risposta con nome e cognome.
Ripubblichiamo quindi il commento di Pier Luigi Trivelli e la risposta che abbiamo affidato al signor Giovanni Graziani, amico di lunga data di Pinuccio Rustioni.
Sinceramente non conosco la FAI, ma conosco abbastanza bene la FP. Detto questo sono sconcertato che un così bravo sindacalista dal cuore generoso come Pinuccio sia così attaccato alla trasparenza da lasciare la CISL per la UIL. Di mercenari senza cuore e anima è pieno il mondo, ma quando ciò avviene non è certo da ammirare. Ho avuto anch’io questa tentazione per un gesto di rivalsa nei confronti dei miei “superiori”, gli onnipotenti della FP, ma ho trovato intorno a me amici che mi hanno richiamato al dovere verso chi mi aveva accompagnato in un percorso sindacale proficuo e molto bello. Ho riflettuto, e dopo l’amarezza dei primi giorni, ho raccolto l’invito e sono rimasto per combattere la mia e la nostra battaglia all’interno della FP. Ho rinunciato a partecipare ai congressi, ma ho lavorato e lavorerò per garantire una sana ricostruzione della FP. Se non ci riuscirò pazienza, ma avrò la coscienza a posto e potrò essere orgoglioso di non essere diventato un capitano di ventura venduto al concorrente, e che concorrente.
Pier Luigi Trivelli
Caro Pier Luigi, questa non è una risposta ma una testimonianza. Perché quest’anno sono trent’anni che conosco Pinuccio (corso contrattualisti Fisba 1987-1988; c’era anche Maurizio Ori, quello epurato per rappresaglia due anni fa. E c’erano altri) e, anche se non ho parlato con lui della sua ultima scelta, mi sembra di aver capito quale sia la coerenza che lo ha portato a questo passo che, qualche anno fa, sarebbe stato fuori dell’immaginabile.
Le parole per spiegarlo non le devo cercare, perché sono le stesse che hai usato tu per spiegare la scelta di restare nella Fp: il “dovere verso chi mi aveva accompagnato in un percorso sindacale proficuo e molto bello”.
Qual era il dovere di Pinuccio nel momento in cui la prospettiva nella Fai era quella di essere costretto a lasciare quel che aveva costruito in tanti anni di lavoro? E lasciarlo non perché era venuto il momento di passare la mano a qualcuno che può continuare il tuo lavoro, ma solo perché giudicato non affidabile dal nuovo corso politico imposto col commissariamento della Federazione, e che ora sta per essere definitivamente sigillato col congresso?
Come tu non conosci la Fai, io non conosco la Fp; ma so che nel vostro settore conta la media fra il dato elettorale ed il dato associativo. Cioè contano i numeri. Pinuccio invece ha cominciato a lavorare ed è tornato a lavorare alla fine della carriera con i dipendenti delle aziende agricole in provincia di Milano. Dove l’unico numero che conta è il numero uno.
Se vuoi un iscritto, devi convincere quell’iscritto. E basta. Non ci sono elezioni, perché i dipendenti fissi per azienda sono troppo pochi. Non ci sono capi del personale, come nell’industria, con i quali puoi metterti d’accordo, da solo o assieme agli altri sindacati, e poi magari tutti i lavoratori dell’azienda risultano iscritti equamente divisi fra le tre organizzazioni (una volta mi hanno raccontato, ma spero fosse una barzelletta, di un’azienda dove c’erano cento dipendenti e risultavano cento iscritti alla Cgil, cento alla Cisl e cento alla Uil. Tre tessere pagate per ogni lavoratore, non necessariamente dal lavoratore stesso).
Questo concetto me lo spiegarono proprio durante il corso contrattualisti della Fisba di trent’anni fa, dove io, studente della borghesia cittadina con confusi interessi verso il sindacato, ero stato invitato a partecipare come uditore su invito del professor Mario Grandi: un metalmeccanico fa un’assemblea e parla a cento persone, nella Fisba per parlare a cento persone devi esser pronto a fare cento colloqui. Uno per uno. Questo era il metodo Fisba che ci veniva insegnato nei corsi e che qualcuno, Pinuccio fra questi, ha applicato nel suo territorio.
Contando sempre fino a uno, ma tante volte al giorno tutti i giorni nei paesi del suo territorio, Pinuccio ha costruito una rete di tante persone che si fidavano della Fai perché si fidavano di chi rappresentava la Fai ai loro occhi. Ha fatto associazione sindacale, mentre altri ne parlavano nei discorsi e poi facevano e fanno il contrario a casa loro. Quello che tu chiami nel tuo caso il “dovere verso chi mi aveva accompagnato in un percorso sindacale proficuo e molto bello” per lui valeva a cominciare da quelle persone, da quelli che lui aveva iscritto uno per uno. Persone che lui accompagnava e che accompagnavano lui, che quando parlava nelle riunioni della Fisba e poi della Fai non diceva quel che gli frullava in testa in quel momento o quel che piaceva sentir dire al segretario generale di turno, ma poneva questioni che nascevano dall’esigenza di dare risposte concrete a quelle persone reali. Non ai numeri, non all’assurdità (non ce l’ho con te, ma ripeto qui quel che insegnavo nei corsi della Fai sulla rappresentanza) di fare la media fra dato elettorale e dato associativo, in modo da avere un numero che non vuol dire niente, né il consenso politico espresso dai voti, né tanto meno l’adesione di una persona alla sua organizzazione,
Forse così si capiscono meglio i termini del dilemma di fronte al quale Pinuccio, per quel che mi risulta, si è trovato: accetto di essere messo da parte dalla Fai, dove chi comanda mi reputa inaffidabile, e quindi lascio queste persone, interrompo questo rapporto di fiducia e di rappresentanza uno per uno, ma rimango coerente con la bandiera? O continuo a mantenere viva questa esperienza di rapporti personali, di rappresentanza sindacale, dove mi è possibile farlo? Accetto passivamente di vedere la fine del sindacato come l’ho vissuto, o accetto la possibilità che mi viene offerta di farlo vivere e crescere in un altro contesto?
Ma si può dire anche in un’altra maniera: meglio stare a parlare di sindacato associazione in una Fai dove del sindacato associazione sono rimasti solo vuoti discorsi, o meglio fare associazione dentro alla Uila? Una Uila che una volta raccoglieva soprattutto gli scarti della Fai ma che dopo il commissariamento, le epurazioni, i licenziamenti e le espulsioni, ora può perfino scegliere, dire qualche sì e un bel po’ di no?
A te, caro Pier Luigi, questo aspetto non deve essere presente, perché vedo che ti domandi come si fa a lasciare la Cisl per la Uil col motivo della “trasparenza”. Ma nel caso di Pinuccio non c’entra niente la trasparenza, né Scandola né nient’altro. C’entra che ormai della Fai c’è rimasto un nome usato come piedistallo per l’ego di chi comanda. E allora chi vuol associare, rappresentare e tutelare i lavoratori dell’agricoltura in provincia di Milano – perché di questo si tratta, non di un problema politico generale fra Cisl e Uil – ha dovuto scegliere fra l’apparire coerente senza esserlo o l’essere coerente. Fra fare il proprio dovere verso le persone che rappresenti e fare in modo da poter continuare a rappresentarle, se così vorrà ciascuno di loro passando alla Uila o restando nella Fai “depinuccizzata” per scelta politica della Fai, oppure pensare alla propria immagine. Che ora sarà oggetto di ogni illazione ed ogni accusa, per inverosimile che sia.
Perché questo è il metodo Sbarra: chi è con me è onesto, chi non è con me è un ladro. E tutti annuiscono.
Solo che annuisci oggi, annuisci domani, poi succedono le cose che succedono. E così, per usare un’espressione che sta prendendo piede, “la Uila ringrazia”.
Giovanni Graziani – cioè uno che ha fatto scelte diverse sia da te che da Pinuccio.