Albino Gorini risponde ad Augusto Cianfoni trasmettendo “S S S” / e aggiornamento con la risposta di Cianfoni

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Albino Gorini risponde ad Augusto Cianfoni trasmettendo “S S S” / e aggiornamento con la risposta di Cianfoni

admin 12 novembre 2020 7 Commenti

Dopo aver letto la versione di Augusto Cianfoni che reagiva alla filastrocca sul commissariamento della Fai con cui abbiamo ricordato Giuseppe Pelli dopo la sua morte, Albino Gorinidice la sua sui fatti relativi alle vicende che hanno portato alla fine della libertà della Federazione. E noi siamo contenti che questo blog stia raccogliendo voci diverse (diverse fra di loro e a volte diverse dalla nostra) per continuare a raccontare la storia della nostra Fai, ognuno dal proprio punto di vista. Una storia che, in questo modo, non lasciamo prigioniera delle interessate narrazioni di chi credeva di liquidarla con un commissariamento illegittimo e strumentale e con l’aiuto, non disinteressato, di chi oggi della Fai detiene in brand ma nonl’identità storica.

Siccome il testo non è breve ma ci sembrava giusto pubblicarlo tutto e in una volta sola, abbiamo introdotto dei titoletti che accompagnassero la lettura e abbiamo evidenziato in neretto qualche passaggio che ci sembrava significativo. Speriamo che l’autore non se ne lamenti e che i lettori ne siano aiutati.

il9marzo.it

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Un segnale dall’altra parte dell’oceano

Quando ho inviato un messaggio per annunciare che Giuseppe Pelli non era più fra noi, la prima risposta ricevuta sul telefono è stata quella di Augusto Cianfoni: “mi dispiace veramente tanto…..grazie del messaggio….Augusto”.

Poi ho letto quel che ha scritto di Pelli “il9marzo” un blog che per me serve anche a sapere quando qualche fraterno amico ci lascia e la notizia non mi arriva da altri. Eppure non sono stato una meteora in via Tevere dove ho avuto amici e colleghi con cui ho lavorato e che ho apprezzato dal 1980 al 2014; devo però constatare con tristezza che molti non hanno dimostrato rispetto per gli aspetti umani, per non dire di quelli cristiani visto che nelle opere di misericordia corporale si richiama al dovere di visitare i carcerati oltre che onorare i morti. Nessuno, in quella che è stata la mia federazione nazionale, ha sentito il dovere di informarmi dei lutti che nel tempo, in questi anni di mia assenza, si sono verificati. Quanta meschinità, quanto calcolo!

Ma, per ritornare a “Bomba”, so che il sentimento di Augusto è sincero, lo conosco troppo bene! Direi che “il Pelli” come lo chiama amabilmente Cianfoni, ci ha fatto incontrare di nuovo, seppur con un segnale radio sintetico come quello di Marconi, le famose “S S S” trasmesse da una sponda all’altra dell’oceano che provavano la sua scoperta. In questi anni io e Augusto non ci siamo mai sentiti, ma forse il tempo, che è buon medico, ci offre ora l’occasione per analizzare gli avvenimenti, abbattendo distanze che apparivano quasi transoceaniche .

Ho letto la versione di Augusto che considera “non il meglio di Pelli” la filastrocca sul commissariamento della Fai ripubblicata su questo blog, che nemmeno io ricordavo e che a mio parere invece offre una lettura leggera e condivisa da molti. Voglio inserirmi in questo piccolo forum per dire la mia. Userò “tre esse”, ma non potrò essere sintetico, anche perché non mi illudo che sol perchè uso la strumentazione del famoso Guglielmo, sono bravo come lui, convinzione molto in voga nel nostro tempo.

La prima SSe fossimo tutti un po’ più attenti alla storia

Augusto banalizza la battuta “muratori-panettieri” di Pelli, ma le unificazioni che riescono sono quelle che partono dai problemi. Come era stato per la lunga maturazione che ha portato alla Fai a partire da esigenze oggettive dell’azione sindacale.

Ricordo di aver sentito parlare per la prima volta di sindacato agroalimentare al Centro Studi di Firenze nel 1970 da Renzo Cattaneo che ritornava da Bruxelles e ci riferiva un orientamento dei sindacati europei in quella direzione.

Per me, che avevo lavorato in un’industria alimentare, fu illuminante come soluzione dei problemi che preoccupavano la nostra federazione, specie al nord: quel processo di stampo europeo avrebbe dato nuova linfa al nostro sindacato perché con i piani della PAC era inevitabile un collegamento sempre maggiore fra agricoltura/industria di trasformazione/grande distribuzione. Anche Idolo Marcone – segretario confederale all’agricoltura già fondatore e primo segretario generale della FULPIA che poi diventerà FAT – credeva in questo processo tanto che era diventata famosa una frase nei suoi interventi: “costruire un sindacato di filiera dall’agricoltura ai macelli cooperativi fino al pre-impacco” che significava il poter rappresentare i lavoratori di tutta la filiera dove il “pre-impacco” era la porzione di carne confezionata già predisposta per la distribuzione.

Nella Cisl, la Fisba e la Fulpia erano in perenne contrasto su tutto: gli orari di lavoro degli addetti alla trasformazione con quelli della produzione per esempio nella filiera del latte; la mancanza di forza di rappresentanza del sindacato nei macelli dove gli allevatori detenevano il contratto; i trattamenti economici della trasformazione conserviera dove, a parità di lavoro, la retribuzione differiva tra aziende del settore industriale e quelle del sistema cooperativo agricolo, eccetera. In particolare l’inquadramento previdenziale della cooperazione agricola era occasione di grandi tensioni fra i lavoratori che poi si riflettevano sulle parti sociali: c’è morto il Segretario Generale aggiunto della Fisba, Simonte, stroncato da un infarto all’uscita del Ministero del Lavoro dopo una animata riunione fra le parti interessate; anni dopo la questione sarà decisa da un “Lodo Carniti”, alla base anche di una specifica legge. Occorre anche dire che nella Cisl, dopo l’uscita di Marcone e Sartori, mancava una visione generale sul settore primario anche perché Crea che era stato segretario della Fulpia/Fat da segretario confederale continuava ad aver in mente il protagonismo dell’industria.

La Fisba ne soffriva al Nord dove l’integrazione agricoltura/industria era forte, ma anche al Sud dove la Fat, pur attivissima, non riusciva a garantire l’assistenza sindacale ai lavoratori delle piccole aziende dell’industria conserviera, che erano molte e sparse sul territorio; non parliamo poi della dispersione del settore primario presente in tanti specifici settori che ricadevano in altre categorie come parte del settore forestali, gli istituti sperimentali la pesca, l’acquacultura, il vivaismo, il verde pubblico, gli ortaggi di terza, quarta, quinta gamma, i consorzi agrari e vari altri. Una dispersione che alimentava anche in casa Cisl la convinzione – poi smentita clamorosamente dai fatti – di un settore primario ormai inesistente e comunque non più necessario. E ci era di ostacolo anche l’idea, o il miraggio del sindacato dell’industria.

Poi, invece, abbiamo avuto sostegno da D’Antoni, Morese, Pezzotta, Bonanni; ma soprattutto si è aperto un dialogo fra le due categorie e un lavoro comune.

Quello che assieme volevamo non era la fotocopia di un sindacato massimalista come avvenuto in Cgil fra Federbraccianti e Filziat, ma un accorpamento che salvasse armonicamente le diversità; un obiettivo che abbiamo costruito in tempi lunghi, abituandoci ad analizzare gli argomenti con una visione d’insieme, utilizzando lo strumento fondamentale della formazione, creando contatti con esperienze europee, salvaguardando sempre le esperienze e le professionalità presenti nella dirigenza. Nella contrattazione, nella gestione degli organismi bilaterali, nei comitati aziendali europei e internazionali non siamo mai ricorsi a presenze esterne, ancor meno ad ex politici o ad amici, ma c’è sempre stato il rispetto per chi aveva seguito le intese, raggiunto gli obiettivi, ed aveva quindi le qualità per non metterli in crisi.

Un commentatore anonimo su questo blog dice che c’erano degli irriducibili che volevano salvaguardare la propria storia. È vero, e avevano le loro ragioni, ma hanno serenamente accettato la risoluzione congressuale che per garantire questa esigenza impegnava anche alla costituzione di una fondazione con quel preciso scopi e con una adeguata copertura finanziaria.

Quando poi Cianfoni e tutta la sua segreteria hanno voluto attuare la delibera congressuale costituendo la fondazione chiamata a tener viva la storia delle due organizzazioni sono stato io a suggerire il nome FFF- FISBA /FAT FONDAZIONE, rispettando lo spirito della delibera congressuale. La costituenda fondazione doveva annoverare e difendere il suo patrimonio costituito da due storie rispettabili e gloriose, come dimostra la volontà di partenza di ospitare materialmente gli archivi storici di entrambe. Purtroppo, ad un certo punto è intervenuta la signora arroganza, accompagnata dalla dottoressa ignoranza, assistite da una grande dose di presunzione, e quel nome è stato cambiato, cancellando la memoria che voleva conservare. Eppure una gestione straordinaria, come un commissariamento, non muta mai le condizioni strutturali: gli esperti di diritto sanno che in sede vacante non si fanno nomine, non si procede ad innovazioni.

L’aver cambiato nome alla Fondazione è servito ad altri scopi che non ci permettiamo di giudicare perché non vogliamo pensar male anche se una vulgata ci racconta che qualche volta si indovina. Nella migliore delle ipotesi comunque si è voluto annullare il passato, una storia, e attaccare il cappello all’uscio come dice un vecchio proverbio. Come se la Fai l’avessero inventata fra una nuotata e l’altra sulle rive dello Ionio.

La seconda s: Se un anno prima …

Se Cianfoni avesse capito un anno prima che il problema della federazione di fronte all’accorpamento con la Filca non era un “golpe” contro di lui, come si ostina ancora a pensare, ma un malessere più generale, non sarebbe arrivato un anno dopo al risultato di essere bocciato in quello che ancora oggi definisce il suo progetto.

C’è sempre un anno prima! Lo dico per la mia esperienza da segretario generale: anche io, “un anno prima”, avevo avuto un segnale eversivo quando Cianfoni a Verona si distinse apertamente contro il segretario generale su una proposta frutto di una decisione di segreteria. Dopo il dibattito nell’organismo statutario della federazione lui riparò con un’astensione, seguito da un piccolo gruppo, a fronte della mia decisione di andare al voto. Quel fatto segnò la mia uscita dalla federazione. In un primo momento volevo porre il problema politico, e ne avrei avuto la forza; ma sapevo che poi sarebbero cominciati i distinguo, le contestazioni, le sollecitazioni confederali su alcuni dirigenti amici più deboli nelle loro realtà territoriali e regionali, insomma un clima interno opposto a quello che avevo voluto costruire negli anni della mia gestione politica. Sapevo degli incontri (carbonari?) con qualche massimo vertice confederale, così segreto che mi veniva riferito da qualche nostro dirigente periferico in giro per Roma. Insomma si sarebbe avviato un periodo che la mia età e la mia storia non mi consentivano di sopportare. Meglio uscire. Sì, io l’ho capito un anno prima!

E posso dire che una volta lasciata la segreteria mi sono tenuto fuori dei giochi. Certo conoscevo la federazione, e non ero né cieco nè sordo (allora! Adesso purtroppo sì) e intuivo il malcontento sulla gestione. Ma che Cianfoni lo creda o no, non erano più problemi miei. Quando sono stato contattato dai componenti della sua segreteria ho sempre detto che le cose dovevano essere trattate in segreteria e non messe nelle mani dei confederali (è significativa la testimonianza di Fabrizio Colonna sulla inaffidabilità di quei personaggi).

Ma i segnali vanno analizzati, capiti, interpretati, non possono essere liquidati come “golpe”, sono frutto di un’espressione di volontà e di responsabilità assegnata a ciascun membro della segreteria. Quando non si fa analisi, si pensa al complotto ed è stato qui l’errore. Anche con me lui ha pensato a un mio ruolo, a una mia macchinazione contro l’unificazione Fai-Filca, e sbagliava. Tutti sapevano come la pensavo da molto tempo perché l’avevo esplicitato in tre occasioni: prima in un convegno Fai-Fisascat, dove avevo sostenuto che si doveva guardare semmai verso il commercio per la presenza preponderante della grande distribuzione organizzata, sbocco strategico del comparto agroalimentare; poi in un’occasione statutaria (Congresso? Assemblea organizzativa? Non mi ricordo) dove ho evidenziato senza equivoci le mie perplessità sul processo avviato; e ancora in una “settimana sulla montagna” dove mi era stata chiesta una relazione ed ho trovato il modo di argomentare perché si era di fronte a un processo che ritenevo assurdo.

Cianfoni ha sempre reagito con fastidio tipico di chi ha il sospetto della trama, cosa che non mi apparteneva per mia indole e, se mi è permesso, per il mio affetto con Augusto e quelli che erano stati miei compagni di viaggio come componenti della mia segreteria e che ho sempre considerato sinceramente amici. Certo, nella mia vita sono sempre stato libero, ho sempre rivendicato la mia autonomia di pensiero, e non mi sono mai risparmiato nel renderlo esplicito. Oggi posso dire che avevo visto bene perché non è possibile realizzare un progetto politico che non parta da “L’attesa della povera gente” per citare un famoso libro di La Pira. Tutto invece veniva costruito per disegni di apparato (in questo caso le attese della dirigenza), di organigrammi, di potere interno, nel quale – ha ragione “il Pelli” – forse c’era uno sgabello di riserva, piccoli previlegi che potrei elencare ma dovrei scendere in particolari che solo il pettegolezzo potrebbe nobilitare.

Il mio pensiero è confermato da quanto poi è avvenuto in maldicenze, falsità, epurazioni vigliacche, posti, incarichi, nomine, trasformazioni più o meno legittime, tutte cose poco degne di un’organizzazione che si dice ispirata dai massimi valori e invece agisce in spregio allo spirito statutario, per non disturbare altri Spiriti.

  La terza s: Se Cianfoni avesse agito secondo statuto

Ricordo che il mattino del congresso straordinario di scioglimento incontrai sul treno per Roma un gruppo di delegati e il “faiLombardiaexedilibergamasco” che manifestavano un’aria di festa. In un clima di allegria fra commilitoni, con qualche battuta sulla giornata e scherzi su cose nostre, mi azzardai a dire che “un congresso ha sempre una dose di incognite perché deciso da una votazione”: gelo, non l’avevano pensato. E subito iniziarono le domande dubbiose su una mia azione sotterranea. Poveretti!

Ma la battuta era stata sicuramente riportata al segretario degli edili che il giorno successivo, alla luce di quanto avvenuto durante la notte, mi ha accusato perché “non potevo non sapere”. Ebbene, confermo senza timore che non ho messo mano a nulla, perché quando voglio battermi lo faccio apertamente con coraggio dato che le occasioni di allenamento non mi sono mancate nei numeroso tentativi, sempre sventati, dei vari capetti confederali territoriali e regionali di mettere le mani sulle nostre federazioni periferiche per collocare le loro utili teste di legno.

Molti di questi ducetti vuoti di idee e senza passione politica ma amanti del potere, alcuni provenienti dalla nostra categoria, avevano usato l’autonomia in modo strumentale per la loro scalata orizzontale, dimostrando poi la volontà di subordinare le categorie alla volontà confederale. Per fortuna l’Italia è lunga e stretta ed ha offerto in passato a guida dei livelli orizzontali dirigenti degni e preparati e rispettosi degli strumenti statutari che assegnano la rappresentanza degli interessi generali alla confederazione e quelli particolari alle categorie. Purtroppo queste norme sono state cambiate identificando sempre più la Cisl in un’organizzazione di lavoratori anziché di categorie. Un’identità impropria (l’organizzazione di massa c’era già, e sono più bravi di noi a farla funzionare) che ha portato questa nostra organizzazione a non esprimere nulla di originale, portandola all’assenza dallo scenario politico, economico e sindacale e ad una dirigenza contenta solo dei trattamenti economici goduti, che si preoccupa di difendere lo status quo abbandonando ogni azione riformatrice che il mondo del lavoro attende. Un atteggiamento che non entusiasma più nessuno che viva del proprio reddito di lavoro o di pensione.

Bei tempi quando i cavalli di razza conducevano l’organizzazione, quando l’entusiasmo manifestato in un congresso confederale indusse Marini, lui che è un alpino, ad equiparare l’entusiasmo dei cislini a quello dei bersaglieri! Era la forza dello statuto che ci faceva “una meravigliosa anomalia” che animava i lavoratori nello scenario sindacale. Ora ci ammutolisce la debolezza di uno statuto non rispettato e che non offre più valori da difendere. È lo statuto che regola la coesione, e ad Augusto dico che lo statuto lo obbligava a prendere atto che dopo il voto negativo notturno la sua esperienza era finita, lo impegnava “immediatamente” a convocare il Consiglio Generale preannunciando le dimissioni, la elezione del nuovo segretario e della segreteria.

Lui sa che anche il Presidente dei Probiviri Confederali (non voglio dire il nome, ma si sa che era una vecchia volpe) mi mandò – ambasciator non porta pena- ad informarlo, cosa che feci, di “aver sentito parlare di commissariamento, provvedimento che poteva essere fermato solo dalla convocazione straordinaria del Consiglio Generale della Fai”.

E allora, caro Augusto, lascia lavorare di fantasia il povero Pelli e anche tutti noi: se non hai voluto agire secondo lo statuto è per motivi che solo tu conosci. Quello che io penso, se me lo chiedi, te lo posso dire in un’altra puntata.

Albino Gorini

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Pubblichiamo di seguito la risposta che ci ha mandato Augusto Cianfoni

Caro Albino,

onorare la memoria dei morti impone onestà e io non voglio eludere questo dovere.

Sulla tua lunga ricostruzione delle vicende del 2014 e di tanti anni precedenti hai molte ragioni (dal 1985 le abbiamo vissute insieme)che non ho motivo di contestare neppure riguardo alla tua  retta intenzione che ponesti a contraddittorio del progetto FAI FILCA. Come vedi non parlo di una tua “buona fede” (rifugio spesso di chi non sa assumersi le proprie responsabilità) ma di “retta intenzione” nel senso che ti riconosco – unico – di non aver mai guastato le tue azioni con l’interesse di un protagonismo personale. Spero che – al netto dei miei errori di valutazione che pure vi furono – anche a me se ne possa riconoscere. Ho creduto che – al di là della contiguità di filiera – costituire una Federazione di 530 mila iscritti fosse un servizio a quel recupero di democrazia in CISL la cui mancanza tu per primo denunciasti fin dai primi anni ’90 (e io con te) pur con molte defezioni a Roma e nelle Province dove molti coltivavano gli orti del proprio futuro. Noi avvertivamo quella esuberanza della FNP che faceva comodo a tutti i livelli confederali, indifferenti alla malattia perchè con quella vincevano i Congressi a tavolino e i più correvano ad aggiungere il proprio consenso perchè il “tengo famiglia” era già diventato il surrogato a buon prezzo di un salutare confronto di idee, cioè di una vera e non finta democrazia. Su una cosa confermo il mio radicale dissenso: unire la Fai con la Fisascat o peggio con la UGC.

Le giuste ragioni inerenti il completamento della Filiera naufragavano nelle paludi in cui versavano quelle due Strutture. Nè l’una nè l’altra avevano più da anni un minimo di credibilità contrattuale e organizzativa e infatti si reggevano col sostegno di chi aveva interesse a mistificarne i dati organizzativi. Almeno la Filca godeva della credibilità di una solida struttura organizzativa sul territorio e della autorevolezza del suo Segretario generale Pesenti.

Ormai il tempo ha spolpato le ossa delle mie ragioni e dunque non ho nessuna voglia di riesumarle. A che servirebbe? Le tue ragioni invece hanno vinto e io ho il dovere di dire “Accetto il verdetto”. Resta il fatto che intorno a ogni vittoria come in ogni disastro ci sono sempre nugoli di sciacalli che saccheggiano al di là delle direttive dei generali e in deroga alla minima decenza. Alla mancanza di questa si deve lo scioglimento della Fondazione FisbaFat che fu un vero saccheggio che tu non meritavi ma – so che di questo sei orgoglioso – fu il piatto freddo di una vendetta covata da tredici anni e favorita da chi tu a lungo difendesti quando io avrei voluto rimandarlo a concimare il nulla nei palazzi apostolici.

Lasciamo dunque agli Storici che ne abbiano voglia di ripercorrere le tante vicende che tu hai riassunto con molta lucidità. Io non ne ho più voglia. Se nella mia vicenda umana nella Fisba e nella Fai ho fatto insieme a te del bene serva almeno in parte ad assolvere i miei personali errori dei quali quasi mai la vita ci dà il tempo necessario ad espiarli. Però permettimi almeno di fregiarmi di un solo merito, quello di avere in qualche modo contribuito a evitare – la notte del 28 ottobre – che si consumasse fino in fondo il misfatto di eleggere Cassio, Bruto o Casca a Segretario della Fai. Non che io mi consideri Cesare ma quei tre nomi vogliono rappresentare il peggio dei traditori che la Fai non meritava a prescindere. Tanto – ne sei convinto anche tu – il commissariamento sarebbe venuto lo stesso così come avvenne la soppressione dei Templari ad opera di Filippo il Bello (Si potrebbe dire “più che il dolor potè il digiuno” … e la fame era tanta nella casa di vetro…)

Infine: avrei potuto (e mi fu suggerito da colleghi) predisporre – come si dice sia pure stato fatto talvolta – le schede per la votazione sullo scioglimento della Fai. Non lo feci perchè mi rifiutai culturalmente e politicamente di far nascere la nuova Federazione su un imbroglio. Molti questo non lo crederanno ma resta il fatto che in ogni caso manca la controprova. Per certe sfide ci vuole il pelo sullo stomaco e a mio danno dimostrai di non averne abbastanza.

Caro Albino, Se il comune compianto per la morte di una persona cara come fu per noi e per molti Giuseppe Pelli ci ha dato l’occasione per tornare a comunicare tra noi dopo 6 anni di silenzio ne sono contento.

Ora torno nei ranghi che sono propri di chi non ha più nulla da seminare nè da raccogliere. Che tu lo creda o no, per me sei stato il migliore segretario generale della Fai e tra i più importanti della Fisba verso il quale io per primo e molti insieme a me dobbiamo solo dire grazie pur nelle diversità talvolta vissute (a Verona) e in altre rare occasioni ma sempre alla luce del giorno
e non nell’oscurità dei congiurati.

Ti auguro ogni bene

Augusto

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7 Commenti – Scrivi un commento

  1. Anonimo · Edit Ho letto ed apprezzato il ricordo che Albino Gorini fa dell’amico Giuseppe Pelli. Molte cose non erano conosciute e, pur a posteriori, ridanno luce e vigore al contributo che quel “signore” concesse all’organizzazione.
    Per molti, “il Pelli” era solo l’amico di Gorini; oggi si scopre che era molto di più. E’ una regola, anche se non scritta: le persone si conoscono e si apprezzano quando non ci sono più.
    Ho letto e apprezzato, ancora di più, quando lo stesso Gorini risponde a Cianfoni. Non una puntigliosa e tignosa rivalsa ma l’abbozzzo di una pagina di storia che comincia a sollevare quella coltre di tenebre che ha oscurato gli ultimi anni della vita della Fai.
    Troppe cose sono successe, dalle più banali alle più contraddittorie. Nessuno si è sentito in dovere di dare una spiegazione logica. Se è l’inizio di un nuovo corso, ben venga. La Fai, la Cisl, ne hanno estremamente bisogno. “La signora arroganza, la dottoressa ignoranza, assistite dalla presunzione non vanno da nessuna parte. Mi sbaglio; producono disatri nella società, producono commissari a loro insaputa, producono dirigenti negazionisti o che assumono decisioni con il “pendolino”. Producono disatri nel sindacato. Da troppi anni il merito viene disatteso, la professionalità sopportata come fastidio, l’asservimento elevato a valore.
    Bene ha fatto Gorini a ricordare perchè l’unificazione tra Fisba e Fat è andata in porto e perchè la fretta, come si suol dire, produce “i gattini ciechi”. Interessante in gioco delle tre S…Se fossimo tutti più attenti alla storia….Se un anno prima….Se Cianfoni avesse agito secondo statuto….Interessante ma non completo. Non completo perchè fra la seconda e la terza S occorrerebbe aggiungerne un’altra: Se Gorini, accortosi che il suo tempo era terminato, dando seguito alle pseudo-consultazioni che aveva avviato, avesse deciso che la soluzione Cianfoni non era e non poteva essere la soluzione più funzionale al futuro della Federazione. Se così fosse andata…..non ci sarebbe stato bisogno della terza S. Ma, si sa, la storia si racconta, per omissioni e per tesi, ma, purtroppo, non si può cambiare. Reply
    1. Augusto Cianfoni · Edit Era scontato che nel dialogo tra Gorini e me si sarebbero fatti sentire alcuni commenti. Li rispetto tutti anche se preferirei si mostrassero col proprio nome. Avrei l’occasione di riconoscere i meriti di chi magari “in vita” non valorizzai come avrebbe meritato. Pure Gorini, credo, ne avrebbe più onore come merita. Essere lodati dalle maschere è frustrante come lo è essere accusati da lettere anonime.
      Che nel 2008 io non fossi il meglio che la Fai potesse avere come segretario è ben fisso nella mia coscienza. Eppure ho la presunzione di dire che – andato in pensione Pietro Massini che era il meglio che la Fai potesse desiderare – tra gli altri chi? Se la democrazia vale qualcosa (e mi pare che alcuni anonimi ne enfatizzino abbondantemente le virtù salvifiche) ricordo che nel 2008 fui eletto con un plebiscito dal CG in via Rieti e analoghi voti ebbi sia al Congresso di Salerno nel 2009 che nel 2013 a Perugia. Fu tutta fuffa?
      Chi non ebbe allora la lealtà di dire ciò che avrebbe dovuto per onorare la democrazia non può oggi persino insinuare dubbi sulla consultazione fatta allora da Gorini. Mentre lo si loda si dubita della sua correttezza? Mi pare troppo.
      Nonostante i miei errori che non nego, il prezzo meno digeribile è stato in questi anni la damnatio memoriae esecrata sulla mia persona. Come tutti noi anche io ho avuto dalla Fai molto più di quanto riuscii a renderle. Ma dal 1985 al 2014 non mi risparmiai come tanti. Non tutti in verità, non almeno coloro che furono sempre conosciuti tra noi come i pantofolai che non mancavano mai di venirci a insegnare qualcosa di estraneo al loro stesso modo di vivere. Reply
  2. NESSUNO · Edit Sono un vecchio dirigente della Fisba e poi della Fai e ho seguito la fase di unione con la Fat e anche quella tentata con la Filca, due processi condotti in modo diverso. Nel primo ci avevano convinto di fare quel passo con motivazioni serie politiche ed economiche che qui oggi Gorini ci ha in parte ricordato e che non potevamo non accogliere anche quando richiedevano la rinuncia alle responsabilità in alcuni territori al nord dove eravamo in maggioranza. Sul congresso con l’edilizia Cianfoni dice che se i contrari avessero manifestato perplessita’ lui avrebbe potuto avvertire Bonanni. Una bella autonomia se chi dice di aver ideato l’accorpamento doveva chiedere a Bonanni di posticipare il congresso. Non era solo la data, ma era tutto il percorso che era stato falso e forzato dai segretari confederali a tutti i livelli. Non si ricorda che anche Latina dove lui era indiscutibilmente magna pars e qualche provincia del Lazio in più occasioni ufficiali si sono sentiti liberi di dimostrarsi perplessi per non dire contrari? Al congresso giravano tante voci ma la più certa era che i delegati non avrebbero scelto la dirigenza della futura federazione che avrebbe invece attuato un piano riservatissimo individuato a tavolino, estraneo quindi alla nostra tradizione democratica. Erano i secondi o i terzi livelli? Erano delegati congressuali che in forza del loro mandato potevano approvar o bocciare , una decisione che doveva , qualunque fosse, rispettata. Reply
  3. Anonimo ?? · Edit Mi é piaciuta l’analisi di Gorini sugli avvenimenti della FAI. É vero che nessun storico se ne occuperà,ma apre gli occhi su processi complessi che si volevano semplificare violando norme minime del diritto prima che dello statuto
    Mi ha colpito il passaggio della Fondazione che tutti sapevano voluta dal congresso di scioglimento della FISBA e che poteva contare,lo posso dire da ex membro del collegio sindacale, su una sana gestione amministrativa che deduco dai miei verbali di collegio.
    In quel tempo mi ha molto impressionato che sena motivazioni i membri del Consiglio della Fondazione(quasi tutti segretari regionali della FAI) convocati in fretta dalla gestione commissariale a Roma solo dopo pochi giorni del commissariamento,si siano dimessi senza motivazioni, facendo decadere il Presidente Gorini. Era stato insediato un processo senza accusa,senza difesa, con una sentenza senza appello di un condannato in contumacia. Si potrebbe chiamare inciviltà giuridica?Troppa finezza.No,è più adatta una canagliata!
    .Sarebbe interessante avere una relazione sulla consistenza economica assegnata dalla FAI alla Fondazione,visto che i verbali redatti fino a quel momento avevano fotografato una Fondazione i piena efficienza e con crediti di anni precedenti del 5 per mille! C’è stata un verifica dell’autorità di vigilanza sulle Fondazioni? Reply
  4. Anonimo · Edit UN LAVORATORE NEL DIRETTIVO Leggo l’anonimo 12 nov delle 17 che afferma una cosa importante perché ci sono cose che non erano conosciute e oggi ho avuto dei chiarimenti sia da Gorini che conosco che dalla lettera del segretario Cianfoni. Prendo coraggio per fare anche io una domanda. Dopo la notizia del commissariamento del mio sindacato Fai sono stato chiamato con gli altri del direttivo a Milano per una riunione regionale con il commissario e il nostro segretario cisl Domaneschi. Nella riunione siamo stati informati che erano state trovate a Roma cos molto gravi e ne ricordo una che riguardava i vecchi segretari della Fai mandati via erano proprietari degli uffici della nostra federazione nazionale. Mi è sembrata una cosa grossa, ma quando l’ho chiesto al Segretario mi ha risposto che se il commissario l’ha detto era sicuramente vero. Allora adesso non siamo più proprietari della nostra sede nazionale? Reply
    1. IL VISURISTA · Edit Da un’indagine approfondita possiamo smentire che i vecchi segretari della Fai e prima ancora della Fisba siano mai stati proprietari degli uffici o delle sedi; probabilmente l’equivoco nasce dal fatto che, fin dagli anni remoti – si parla almeno di Sartori segretario generale – ai segretari nazionali della Fisba venivano intestate quote simboliche della società proprietaria delle sedi.
      Risulta invece che la Fai sia di fatto attualmente proprietaria
      – di appartamenti per alcune centinaia di metri quadri nella sede storica di Via Tevere 20
      – di un appartamento in zona viale Ippocrate, già adibito a foresteria
      – di un altro appartamento in zona San Paolo
      Il valore complessivo può essere valutato in svariati milioni, vista la collocazione di pregio della sede nazionale e la vicinanza a sedi universitarie degli altri due appartamenti che ne fa ottimi investimenti.
      Semmai c’è da chiedersi come mai, con tutto questo ben di Dio, gli attuali segretari abitino a Roma in appartamenti affittati in zone di pregio vicine alla sede nazionale.
      Certo, ognuno i suoi soldi li spende come ritiene più giusto; se invece fossero soldi della federazione, sarebbe un bello spreco… Reply
  5. Anonimo · Edit Chiaramente sono soldi della federazione. Gli affitti per case in posti belli e appartamenti di lusso con donne e uomini per le pulizie e manutenzioni varie sono tutte somme a totale carico della federazione Fai nazionale. Tutto quello che gira attorno ai segretari nazionali viene fatto con i soldi dei lavoratori, far stare bene un segretario nazionale con carta di credito e spesato per tutto, e quando dico tutto dico tutto, significa, per un generale di categoria, vivere senza nessuna contrarietà per la “gestione” della stessa federazione. Si questo dovrebbero indagare report, magari intervistando segretari non generali ma nazionali di categoria, magari fuori dalla federazione, ma sempre in condizione di dire le cose come stanno. Reply

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