Santoro-Passarelli e la lezione dimenticata

Il signor Giovanni Graziani ci manda questo contributo, a cavallo fra storia della Cisl e giudizi sul presente, che volentieri pubblichiamo

il9marzo.it


Nell’anno fatidico 1968, uno di quei momenti della storia in cui accadono cose che lasciano conseguenze di lungo periodo, Francesco Santoro-Passarelli venne al Centro studi di Firenze per parlare della “storia segreta” del diritto del lavoro dal punto di vista della Cisl, a partire dalla questione dell’articolo 39 della Costituzione. “Segreta” perché, disse Santoro-Passarelli, “non tutti conoscono le vere ragioni dell’opposizione dei sindacati dei lavoratori in generale, ma in particolare della Cisl, all’attuazione legislativa dell’articolo 39”.

Oggi, a dispetto di tante cose scritte e raccontate per decenni, si potrebbe dire la stessa cosa. “Le vere ragioni”, più che essere state chiarite dalla ricerca storico-giuridica nel corso degli anni, sembrano essere rimaste sepolte sotto una cortina di interpretazioni non sempre fondate sui fatti, e spesso motivate dalle mutevoli esigenze politiche dell’attimo.

Se Santoro-Passarelli aveva titolo a spiegare ai corsisti del Centro studi le “vere ragioni” era perché, come disse nell’occasione, alla Cisl era legato da “tanti anni di amicizia e collaborazione”. L’aveva vista nascere, dopo che aveva accompagnato già la Libera Cgil nella scissione dalla casa madre della Cgil unitaria, e aveva contribuito alla stesura dello statuto della nuova confederazione con l’autorevolezza che gli veniva dall’essere il maestro riconosciuto di un diritto del lavoro che si liberava dalle costruzioni del fascismo e si ricollocava nel diritto privato, cioè nella libertà della persona, abbandonando la costruzione del sindacalismo di stato eretta dal Ventennio.

Ma di “amicizia e collaborazione” si era trattato, non di un rapporto da intellettuale organico né da ideologo dell’organizzazione (o aspirante tale, come ce ne sono stati fin troppi); la Cisl poi aveva preso la propria strada, senza farsi dettare la linea da alcun professore, ed aveva elaborato e formulato progressivamente una posizione autonoma (grazie soprattutto a Benedetto De Cesaris) che non era qualcosa che usciva dagli scritti di Santoro-Passarelli, perché la visione civilistica del diritto sindacale di per sé non escludeva l’interveno regolatore dello stato.

E però in quegli scritti c’era lo strumento senza del quale quella costruzione originale della Cisl non sarebbe stata possibile, cioè l’autonomia contrattuale del sindacato come autonomia privato-collettiva. Senza questa elaborazione, l’elaborazione autonoma della Cisl avrebbe trovato un terreno ancor più ostile di quello che ha trovato. E difficilmente avrebbe potuto prosperare nel tempo.

Fin qui è storia dei primi anni ’50. Ma perché nel 1968 il Centro studi sente il bisogno che sia Santoro-Passarelli e non qualcuno dei numerosi docenti più giovani passati dalle sue cattedre (Giugni, Mancini, Pera, Valcavi, Grandi) a spiegare ai giovani corsisti la vera storia del contributo della Cisl al diritto del lavoro italiano?

Probabilmente il motivo sta in quello che dice lo stesso Santoro-Passarelli, e che non tutti degli altri giovani docenti condividevano: con la dilatazione dell’economia pubblica, il sindacato confederale, che è un soggetto importante del sistema economico oltre che delle relazioni strettamente contrattuali, si è trovato e si troverà ancor di più nel futuro (siamo alla fine degli anni ’60) a partecipare all’esercizio di funzioni pubbliche. Il che, osserva il professore, contiene un aspetto drammatico per il sindacato: perché per la Cisl e per la Costituzione il sindacato è libero, vuole essere libero e deve essere libero, e quindi agisce nel diritto privato, ma il fatto di dover partecipare a funzioni pubbliche può portarlo nell’area del diritto pubblico, cioè fuori da quella della libertà. Fino a rischiare di diventare un soggetto parastatale (come, molti anni più tardi, avvertiva sempre Mario Grandi).

E allora la Cisl, per quella che è stata la sua storia, anche se “segreta”, deve essere capace (dice il professore nel 1968) di accogliere questa sfida, e di portare la propria concenzione di diritto del lavoro dentro a questa nuova dimensione, deve essere protagonista della partecipazione anche a funzioni di diritto pubblico conservando la libertà, e quindi l’ambientazione nel diritto privato, cioè il rapporto di rappresentanza costruito sull’adesione del socio e non sul riconoscimento di rappresentatività da parte dello stato.

La risposta non è ideologica, non è “no alla legge, sì al contratto”, “no al diritto pubblico, sì al diritto privato” come se fossero termini antitetici (e non lo sono), ma è una risposta politica, cioè tutta da costruire nelle circostanze in cui l’organizzazione sindacale si trova ad agire.

Per questo era importante che i giovani della Cisl (i giovani del 1968) sapessero da fonte autorevole la “storia segreta” della Cisl e del diritto del lavoro; dell’opposizione all’attuazione dell’articolo 39 non per ragioni tattiche di convenienza ma per l’impossibilità di tradurre in legge quelle normative specifiche senza incidere sulla libertà del sindacato (quell’articolo sarebbe meglio riscriverlo, sostenne Santoro-Passarelli); di come la Cisl si era opposta con successo al riconoscimento giuridico delle commissioni interne e dei consigli di gestione; di come aveva difeso fino ad allora l’idea che l’esercizio del diritto di sciopero non aveva bisogno delle leggi di attuazione dell’articolo 40; di come uno statuto di diritti ai lavoratori nell’azienda non dovesse essere garantito da leggi se queste poi ostacolavano lo sviluppo della contrattazione.

Questa era stata, fino al 1968 o giù di lì, la concezione della Cisl: non un’ideologia statica cristallizzata in formule, ma una concezione forte che si traduceva in proposte politiche su sui confrontarsi con gi altri soggetti. Ed è a questa concezione che Santoro-Passarelli, da amico della Cisl, rende omaggio: la libertà come chiave di tutto il rapporto fra sindacato e diritto. Una libertà che la Cisl è chiamata ora (dove “ora” vuol dire nel 1968) a difendere anche nel momento in cui il sindacato si trova ad agire al di là della sola sfera contrattuale per interagire con i pubblici poteri partecipando, più o meno direttamente, all’esercizio delle funzioni di questi.

Ma non tutti nella Cisl la penseranno così, e la storia seguirà invece l’onda che in quel momento sembrava la più forte. Lo stesso congresso del 1969, pur nella spaccatura dell’organizzazione, si gioca sul tema del “potere contro potere” cioè in una prospettiva in cui, da destra come da sinistra (e dal centro), l’incontro del sindacato con il diritto pubblico può essere visto come un potenziamento della forza sindacale invece che come un problema “drammatico” di tensione fra partecipazione pubblica e difesa della libertà. E probabilmente è già qui che la lezione di Santoro-Passarelli comincia ad essere dimenticata (il professore proseguirà negli anni seguenti i rapporti di “amicizia e collaborazione” con Mario Romani e con la Fondazione Pastore).

Con gli anni, la drammatica questione del rapporto fra libertà privata e pubblica funzione è stato lasciato da parte, con il risultato che i sindacalisti della Cisl si sentono sempre più spesso funzionari, legittimati dallo svolgere un ruolo di rilevanza pubblica con connessi benefici personali, che rappresentanti di chi paga la tessera. Come le recenti vicende sull’uso ed abuso di distacchi e aspettative usate come privilegi personali mi sembra che dimostrino.

Ed ancor più lo dimostrano le reazioni di un’organizzazione che, fin dai massimi livelli, non ammette neppure l’esistenza di questo problema nonostante le indagini giudiziarie in corso.

Ma forse sono io che sono prevenuto.

Giovanni Graziani

PS Chi volesse, può leggere l’intervento di Santoro-Passarelli del 30 giugno 1968 in appendice al mio libro Il nostro statuto era il contratto: La Cisl fra accordo quadro, statuto dei lavoratori e legislazione di sostegno (1963-1973), Bonomo editore, 2021, pp. 316-328. Il libro può essere acquistato sul sito della casa editrice sia in formato cartaceo che in e-book (e spero di essere perdonato se ho usato il 9 marzo per questa piccola pubblicità).

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6 Commenti - Scrivi un commento

  1. Giuseppe Rustioni · Edit

    …..ho letto tutto d’un fiato l’articolo di Giovanni Graziani e di primo acchito la mia prima risposta è grazie. Una nota che aiuta chi pur tra alcune contraddizioni e molti limiti cerca di portare avanti un’esperienza sindacale in cui ” il rapporto di rappresentanza (è) costruito sull’adesione del socio e non sul riconoscimento di rappresentatività da parte dello stato” Grazie
    Pinuccio Rustioni

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    1. Giovanni Graziani · Edit

      Caro Pinuccio, mentre scrivevo quelle cose mi venivano in mente alcune persone, e tu fra queste, che oggi sono sparse in posti diversi ma condividono questa idea di rappresentanza sindacale che un tempo era identificativa della Cisl. E mi sono confermato nel giudizio per cui è meglio tenere in vita questa visione anche a costo di finire lontano da casa che restare in una casa dove poi si finisce per servire ad altre idee ed altre visioni (per non dire altri interessi).
      Grazie.

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  2. Il tema introdotto nel post è molto interessante sotto il profilo scientifico e, tuttavia, poco approfondito sotto il profilo della storia del diritto e nel diritto vivente.
    Lo rilevava a ragione M. Napoli (Diritto del lavoro: in trasformazione (2010 -2014), Torino, 2014, pp 29 e s.; ma vedasi anche dello stesso autore La Cisl e il diritto del lavoro, in Jus, 2012, 3) con queste parole “manca del tutto nelle ricerche approfondite sulla nascita e l’evoluzione della Cisl la ricostruzione della cultura istituzionale su cui si è radicata la nascita della Cisl. Questo evento è visto giustamente come punto di rottura rispetto alla tradizione del sindacalismo cattolico. Ciò si spiegherebbe con l’esperienza americana di Mario Romani o tutt’al più con il ruolo di Amintore Fanfani e dello stesso Padre Gemelli. Non è stata fatta una riflessione adeguata sul rapporto sociale tra cultura sociale istituzionale che ha generato la Costituzione e la nascita della Cisl.
    L’enfasi posta sulla parte inattuata dell’art. 39 ha fatto dimenticare che il sindacato repubblicano è radicato sulla libertà del comma 1. Ma questo rimanda, come oramai è pacifico nel diritto del lavoro, all’art. 2 Cost. e al ruolo della visione della società di matrice cattolica. Occorrerebbe un’indagine approfondita sul preambolo della Cisl, per verificare l’assonanza con l’art. 2 e quindi lo stretto legame con la visione del pluralismo sociale e con il postulato etico dei diritti, e il sindacato dell’associazione e della libertà. La ricerca dovrebbe esplorare i fattori culturali esterni al sindacato che hanno influenzato la categoria del sindacato nuovo. A tal proposito è fondamentale il ruolo dell’Unione Giuristi Cattolici (di allora, ndr) e dell’organo da essi curato Justitia. In quella sede si è consumato l’evento politico culturale del biennio post-costituzionale: la rottura culturale tra gli eredi del corporativismo, rappresentati soprattutto da Carnellutti, e la lettura privatistica ad opera di Santoro-Passarelli, che iniziava il suo percorso di costruzione giuridica del sindacato privatistico. In quel dibattito la visione di un sindacato pluralista, autonomo e libero era compiutamente definita. Occorrerebbe verificare la convergenza, se non la vera e propria influenza e un effettivo condizionamento sulle scelte statutarie della Cisl. Ciò significa che proprio nel momento della nascita si verifica una convergenza tra il diritto del lavoro basato sul libero sindacalismo, con una forte rottura rispetto alla visione corporativa, e l’ipotesi del sindacato nuovo, non condizionato da esperienze corporative, né pre-corporative. La visione giuridica del sindacato, confermata in sede internazionale nella convenzione n. 87 dell’Oil all’art. 10, si mostra così più idonea ad esprimere la visione del sindacato nuovo, che ha in un contesto di libertà e di pluralismo il suo presupposto. Oggi nessuno dubita più del nesso pluralismo-solidarietà dell’art. 2, sul quale si è verificata la convergenza delle forze politiche liberali, cattoliche e socialiste. Ma questa estensione è da attribuire al diritto del lavoro, che sempre più riscopre il centralismo della persona e del pluralismo sociale”.
    E’ la centralità della persona che lavora ad emerge, per Santoro-Passarelli, da una lettura dell’art. 39 della Cost. in chiave privatistica perché fondata sulla prospettiva individualistica (contrario era Mortati e anche Persiani suo allievo).
    Eppure è solo in tale prospettiva che si rivela l’anima ascendente dell’organizzazione sindacale (dal basso al vertice), secondo Matteo dell’Olio, anch’egli allievo – che ha sempre aggiornato le Nozioni di diritto del lavoro -, (L’organizzazione e l’azione sindacale in generale, Padova, 1980, passim), nel potere negoziale che trae il suo fondamento nell’adesione e che comporta la partecipazione e l’attribuzione della rappresentanza. L’iscrizione crea il presupposto della selezione degli uffici deliberativi, sulla scorta del diritto comune, poiché non occorre uno specifico riconoscimento di libertà da parte dello Stato, a fronte dell’accettazione del vincolo organizzativo e sulla base della direttiva dell’art. 39, primo comma, cost., con la costituzione di un organismo deputato, per l’intento dei partecipanti, a determinare i fini perseguiti e a esercitare le iniziative conseguenti.
    Ne deriva una difesa “aggregata” delle istanze individuali, ricomposte a seguito della manifestazione di volontà dei soci, con una coesione destinata a esprimere un’analisi superindividuale dei problemi del lavoro, persino qualora collida con alcune aspettative (teoria dell’interesse collettivo), e ciò accade di frequente. La persona è il perno di qualsiasi strategia collettiva e il suo radicamento nel diritto privato impone questo fondamento dell’azione del gruppo, comunque nato da un contratto (la gestione accorpata dei rapporti di lavoro).
    Ed è in virtù del combinato disposto degli artt. 2 e 39 co 1 e 3 Cost., nella teorica di Matteo Dell’Olio, l’“essere libera” dell’organizzazione sindacale espresso al primo comma del dettato costituzionale che si traduce in “necessaria democraticità”. L’organizzazione del sindacato, infatti, rileva l’Autore, costituisce una formazione sociale ai sensi dell’art. 2 Cost. finalizzata, come tale, allo sviluppo della personalità dei singoli iscritti ad un sindacato, con la conseguenza che il vincolo democratico, costituisce una condizione essenziale, o meglio una condizione “di configurazione e qualificazione come tale dell’organizzazione sindacale”. Di qui la critica severa di dell’Olio alle assemblee parziali dei “delegati” nella designazione dei propri rappresentanti. Ma di questo orientamento la giurisprudenza sembra, sino ad ora, fatto malgoverno tranne qualche rara eccezzione.
    Rinnegando, come pure accade, l’art. 2 cost. e la tutela della persona anche nell’associazione, l’iniziativa sindacale sembra essere monca e non in linea con la parte più convincente della Costituzione, a maggiore ragione oggi, quando un rinnovato individualismo pervade l’agire quotidiano, in virtù dei mezzi di partecipazione, tali da permettere un collegamento continuo –non sempre saggio-, e una partecipazione di facciata alle decisioni. Brevi osservazioni in libertà, quelle che precedono, per sollecitare un effettivo approfondimento (da far tremare le vene ai polsi) sul punto e che la ricerca giuridica ha sinora disatteso fatte salve alcune illuminate e limitate eccezioni. Il tema è affascinante, ma complesso. Chi avrà il coraggio di studiarlo?

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    1. Giovanni Graziani · Edit

      Grazie per il denso commento, che mi impegno a leggere con la dovuta attenzione, mettendoci il tempo e l’attenzione che merita.
      A caldo, mi limito a ricordare un fatto: Mario Napoli, ampiamente citato, era presente a quella lezione e, nello scriverne molti anni dopo ricordava che “Santoro-Passarelli espose in sintesi il suo magistero sulla libertà sindacale e sull’autonomia collettiva, e Mario Romani ne constatava l’oggettiva assonanza con l’autonoma elaborazione della Cisl” (così Mario Napoli, Alle radici del sindacalismo italiano. Una riflessione a più voci, in ID. (a cura di), Alle radici del sindacalismo italiano, Vita e Pensiero, 2007, pp. XIII-XIV; si trova citato nel mio libro a p. 175).
      Mi sembra che, nel sottolineare come libertà e autonomia collettiva fossero il cuore del magistero di Santoro e che l’elaborazione della Cisl fosse autonoma ma assonante, per una volta il mio giudizio e quello di Mario Napoli (si licet) siano convergenti.
      Spero che non siano “poco approfonditi” tutti e due.

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  3. EX DELEGATO FIM-CISL · Edit

    EX DELEGATO FIM-CISL
    Al di la del Merito, e’ veramente bello ed interessante assistere su questo Sito, ad una Discussione di cosi Alto Valore Scientifico.
    A mio avviso la CISL si puo’ “salvare”, solo attraverso un innalzamento del Livello Culturale, senza una Classe Dirigente preparata ed aperta al dialogo, non si va da nessuna parte !!!

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