Giuseppi, Maurizi e “il dialogo per il cambiamento”
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Giuseppe Conte, diventato “Giuseppi” dopo un famoso refuso di Donald Trump, era il capo del governo sovranista/populista in Italia e ora è il capo del governo che fa da argine al sovran-populismo; era quello che salvava Salvini dal processo per la chiusura dei porti assumendosi la corresponsabilità della decisione ed oggi il suo governo segue una politica non proprio opposta ma comunque molto diversa; era quello obbligato per contratto alla flat tax ed oggi parla di tassare merendine e bibite zuccherate; era un semplice avvocato che faceva il presidente del consiglio di una coalizione dove comandavano i due azionisti, ed ora si comporta da autentico capo politico di un governo quadripartito. Quindi è giusto chiamarlo “Giuseppi”, perché di Giuseppe Conte ce ne sono stati almeno due.
Ma anche Maurizio Landini, in maniera meno clamorosa, non è più il segretario della Fiom che preferiva inseguire le gloriose sconfitte contro Marchionne invece di perseguire qualche ragionevole compromesso, e non è più il beniamino della sinistra radicale che aveva sognato di farne il capo politico di una coalizione a sinistra del Pd. Oggi, senza rinnegare nulla del passato, gioca tutta un’altra partita e punta a rimettere la Cgil nella posizione di guida di tutto il mondo del lavoro. Ovvero, unità d’azione con Cisl e Uil, a partire dall’egemonia della Cgil e con la sponda del governo.
Non sorprende quindi che Rassegna sindacale parli di un “dialogo per il cambiamento”, visto che già i protagonisti hanno dimostrato di saper cambiare. Il che non è un difetto, a patto che si cambi in meglio).
La Cisl, ad esempio, negli anni recenti qualcosa ha cambiato, ma non in meglio. Ad esempio, ai tempi di Bonanni e delle vicende di Pomigliano e Mirafiori l’obiettivo politico era chiaramente battere la Cgil incalzandola sul terreno del cambiamento in corso nel mondo produttivo e delle imprese, per imporre un’egemonia alternativa, la propria, nella rappresentanza del lavoro. Un tentativo non privo di elementi di ambiguità, compreso il gioco di sponda con i governi allora in carica, ma che dimostrava come la Cisl avesse ancora qualcosa da dire di diverso rispetto agli altri.
Ma ora le cose non stanno più così, e Via Po 21 preferisce conservare con Cgil e Uil un rapporto unitario del tipo “trentatrè-trentatrè-trentatré”, che permette alla Cgil di far valere il proprio peso e restare alla guida del movimento. Un criterio paritario che vale un po’ per tutto, dall’organizzazione del prossimo appuntamento di Assago ad ottobre di lancio della piattaforma per il confronto con il governo (si parla di 9 mila delegati, 3 mila a testa, pronti a mangiare la minestra precotta), alla ripartizione di permessi e finanziamenti nei contratti collettivi (ai quali si vuol dare efficacia erga omnes).
Quindi anche per Via Po 21 c’è stato un cambiamento di linea rispetto al recente passato, anche se si tratta uno di quei cambiamenti che servono a non cambiare nulla (il “trentatrè-trentatrè-trentatré” fu inventato col Patto di Roma nel 1944). La differenza è che mentre “Giuseppi” e “Maurizi” entrano in “dialogo per il cambiamento”, per Via Po 21 il cambiamento di linea passa attraverso il silenzio. E infatti quando si parla per decidere di queste cose la Cisl nonc’è. Il dialogo lo lasciano fare quelli che contano, al gruppo che controlla la confederazione con sede in Via Po a Roma basta che il meccanismo “trentatrè-trentatrè-trentatré” continui a funzionare senza problemi.