I sofficini del capitano

Hillary Clinton ha la polmonite, e sua eccellenza il dottor Sbarra dell’Anas non deve stare molto bene neanche lui. Lei si è dovuta prendere un paio di giorni di riposo prima di ripartire con la campagna elettorale, lui praticamente non è ancora tornato dalle ferie, almeno a giudicare dal sito della Fai.

Eravamo abituati a veder comparire i suoi commenti su tutto e su tutti, e invece nelle ultime settimane è intervenuto a malapena con un comunicato sul caporalato, per ripetere le cose già dette a luglio, un articolo sul Diario del lavoro praticamente uguale a quello della Furlan sull’Unità del 31 luglio scorso (è pieno delle stesse frasi fatte, con un po’ di numeri di parte datoriale in più), ed un commento al rinnovo del contratto per la piccola impresa alimentare uguale a tutti i commenti che lui fa sempre in questi casi: questo è un contratto che “valorizza la contrattazione di secondo livello”, che “esalta la partecipazione”, che “premia l’impostazione di una piattaforma unitaria”, che “punta sulla bilateralità” ed e è una “leva per lo sviluppo”, e tutte le altre frasi che lui è pronto a tirar fuori dal frigorifero come i sofficini ad ogni rinnovo contrattuale, buono o meno buono che sia.

Solo che chi cucina i sofficini per lui e per la Furlan non deve essere molto ferrato sulla materia.

Già ci eravamo permessi di osservare lo scivolone del segretario generale della Cisl, che nell’articolo di luglio aveva elencato anche la Nestlé come esempio in un discorso sul made in Italy di qualità che resiste “all’istinto predatorio delle multinazionali” grazie alla partecipazione, alla contrattazione, e alle relazioni industriali.

Una semplica svista, si sarebbe potuto pensare. Solo che ora l’articolo sul Diario del lavoro di sua eccellenza il dottor Sbarra dell’Anas propone, senza fare nomi, lo stesso argomento: ci sono imprese alimentari italiane che “valorizzano la partecipazione, la bilateralità, la contrattazione di secondo livello” (e fin qui siamo ai soliti sofficini), e che per questo si dimostrano “ben corazzate contro gli appetiti colonizzatori delle grandi multinazionali”.

Il ragionamento è lo stesso, il frasario è analogo, ma di esempi stavolta non se ne fanno. E allora proviamo noi a farne uno recente, avvenuto durante la nuova gestione della Fai, e di cui l’attuale segretario generale non si deve essere accorto: questa estate, mentre il dottor Sbarra dell’Anas portava la signora Anna Maria ad assaggiare il tonno Callipo, l’Eridania diventava “Eridanià”, col passaggio in mano francese. E non è che sia un caso isolato; è dagli anni Novanta del secolo scorso che di gruppi passati in mano straniera se ne sono visti molti. O meglio, li ha visti chi seguiva il settore alimentare, e non quello autostradale o postale.

Ormai si fa prima a dire cosa rimane in mano italiana. Certo, c’è il tonno Callipo. O la Ferrero, che è un po’ la gallina dalle uova d’oro per i sindacati (una multinazionale italiana ricca e non ostile è una bella risorsa). Solo che poi, a ragionare solo su alcune realtà, si rischia di commettere l’errore di chi si trova nel reparto maternità di un ospedale, vede i bambini appena nati e pensa che non esista il calo demografico. O di chi esce di casa e sente freddo e dice che il riscaldamento globale non c’è più.

Per carità, non è che questo rischio di concentrarsi solo sulla Ferrero o sulla Nestlé ci  sia solo da quando il dottor Sbarra dell’Anas è sbarcato sulla Fai. Ma con un uomo solo al comando, e che per giunta non conosce le cose di cui parla, il rischio è che la Fai perda definitivamente la visione d’insieme del settore. Dove ci sono molte realtà più piccole che sono sì una ricchezza del made in Italy e che proprio perché sono piccole, sfuggono sì “all’istinto predatorio”, agli “appetiti colonizzatori” delle multinazionali, ma sfuggono anche alla diffusione del secondo livello di contrattazione (a differenza dell’agricoltura, dove la contrattazione territoriale ha radici antiche e consolidate).

Questo almeno è ciò che avviene nella realtà, e non nei discorsi surgelati e pronti all’uso come i sofficini Findus (a proposito di multinazionali dell’alimentare che non è che sono italiane solo perché hanno qualche stabilimento in Italia).

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2 Commenti - Scrivi un commento

  1. Contro questo sindacato surgelato propongo una class action di tutti gli iscritti per riavere i soldi versati che sono finiti in mani e tasche improprie e creare un fondo per la disoccupazione

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  2. A pensar male si fa peccato però spesso ci si……., diceva Andreotti ricordate? Ebbene io voglio pensare tutto il male possibile di individui come: stradini che non hanno mai lavorato su una strada, medici che non hanno mai fatto i medici, autisti pubblici che non sono mai saliti su un autobus, macellai che non hanno mai macellato un cappone e cosi via. Ebbene penso che tutti questi mangiapane, a tradimento dei lavoratori, sono in malafede nel senso che sanno perfettamente di essere: una massa di ignoranti, che il sindacato con il loro modo di fare corre verso l’autocosunzione, che nei loro pensieri non c’è spazio per i problemi dei lavoratori ma solo per le proprie tasche, prima che la pacchia finisca e dunque hanno adottato la filosofia di vivere al presente come del resto fa tutta classe politica italiana. L’unico verbo che conoscono è arraffare finchè si è in tempo per il resto basta raccontare qualche frottola, citare grandi personaggi e schierarsi con chi ha i cordoni della borsa e il gioco è fatto; cosa vuole questa marmaglia insolente e fastidiosa non vedono che stiamo lavorando indefessamente?.

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