La stampa locale siciliana ha riportato nei giorni scorsi la notizia di una condanna a tre anni di un ex dirigente della Fim di Messina per estorsione. Avrebbe preso soldi in cambio dell’impegno a non creare problemi con gli scioperi nei cantieri Palumbo. I fatti sarebbero avvenuti nel 2011. Il condannato li contesta, e la sua difesa lamenta che il video con il presunto pagamento di una mazzetta non sia stato mostrato in aula, perché in realtà nelle immagini non si vedrebbe nulla di questo (e se le cose stanno così, c’è da essere perplessi sulla condanna).
La sentenza è di primo grado, e può essere rovesciata nei gradi successivi di giudizio. Quindi non ci permettiamo giudizi sulla persona, nè sui due rappresentanti Rsu, eletti per altre organizzazioni, che sulla base delle stesse dichiarazioni degli accusatori erano stati indagati (e licenziati), ma poi sono stati assolti (e reintegrati per ordine del giudice). Chi vuole maggiori particolari li trova a questo link.
Ferma restando la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva, ed il rispetto totale del sacro diritto alla difesa, ci permettiamo qualche considerazione interlocutoria.
In primo luogo l’accusa, quella di un passaggio di soldi in cambio di pace aziendale, è molto simile a quella già emersa in un caso recente che ha avuto più risalto sulla stampa nazionale, anche se il personaggio coinvolto era meno importante, e l’organizzazione sindacale anche. O nel caso messinese si è trattato di una apprezzabile cautela da parte dei mass media per non creare mostri prima della sentenza definitiva (ma di solito non funziona così), o il sistema dell’informazione, locale e nazionale, ha avuto molto, ma molto riguardo nei confronti della Cisl di Messina.
In secondo luogo, al centro di queste situazioni c’è un delicato problema giuridico: se un sindacalista estorce i soldi, l’impresa è la vittima; se è l’impresa che offre i soldi, il sindacalista non può essere condannato perché la legge non punisce la corruzione “privata”. La condanna è scattata perché il giudice ha ritenuto che il sindacalista fosse estorsore, cioè avesse preteso soldi per fermare gli scioperi. Ma se per caso ci fosse stata assoluzione, o ci dovesse essere nei gradi successivi, con la motivazione che il sindacalista avrebbe preso soldi ma non c’è reato perché non li ha estorti, la sostanza della questione morale non cambierebbe.
Quindi, accanto alla prudenza in mancanza di sentenza definitiva, va da subito esercitata anche la rigorosa distinzione fra responsabilità giuridica e responsabilità morale. Perché la seconda può esserci, in tutta la sua gravità, anche in caso di dichiarazione di innocenza sul piano del diritto.
Per questo, senza aspettare una sentenza definitiva che probabilmente non ci sarà mai (detto col dovuto rispetto, cinque anni per una condanna in primo grado sono un periodo troppo lungo per poter credere ad una giustizia infallibilmente giusta), un chiarimento dovrebbe esserci subito. Perché dopo il caso Slp questo è già il secondo in poco tempo nel quale il nome della Cisl è accostato a fatti gravi. E l’impressione non è gradevole.
Ma questa dirigenza è capace di fare chiarezza? Finora non l’ha fatta sul caso Bonanni e non l’ha fatta sulle denunce di Fausto Scandola; anzi, ha espulso il denunciante.
Possibile che cominci ora, sul caso Slp, che tocca il segretario generale, in quanto reggente della federazione, e su questo caso che tocca una regione e una città molto importanti per gli equilibri della segreteria confederale?
Il proverbio dice che non c’è due senza tre, ma nel nostro caso sono arciconvinto che scavando appena appena un pò ne vengono fuori a iosa al punto da fare apparire i sindacalisti di “fronte del Porto” dei santarellini. La morale lasciamola da parte per favore perché questi non sanno minimamente dove sta di casa. Del resto la realtà è sotto gli occhi di tutti e solo chi non vuol vedere non vede.
JE’ SUI’ FAUSTO’
Venite in Calabria signori, venite da noi per rendervi conto che questi episodi sono molto piu’ normali che in altre parti d’Italia. E’ usanza calabra che il sindacalista di turno si allei con l’azienda nelle vertenze, che diventano vertenze contro i lavoratori, soprattutto nel settore commercio e turismo. Cosa frega al sindacalista della povera commessa o del povero cameriere se vengono mal pagati o sfruttati,quando il ristorante o il villaggio turistico offrono al “rappresentante dei lavoratori” cene e weekend gratis? O meglio assumono quel fratello/fidanzata/cognato/figlio incapace e disoccupato? Venite in Calabria…