NEL SILENZIO DELLA POLITICA E DEI SINDACATI L’ENEL CHIUDE VENTITRE’ CENTRALI ED ALTRE NE SEGUIRANNO MA LA BOLLETTA RINCARA INVECE CHE DIMINUIRE PERCHE’
Cercando di capire cosa sta accadendo alla centrale di Vado Ligure ho scoperto che è solo una delle ventitré destinate a chiudere. La cosa veramente sconcertante è che non si tratta di un fulmine a ciel sereno perché dall’ottobre del 2014 si sapeva di questa inversione di marcia dell’ex monopolista elettrico, quando l’amministratore lo annunciò in una audizione al Senato, argomentando che in uno scenario così innovato, per restare concorrenziale sul mercato, l’Enel doveva chiudere 25 mila MW di centrali termoelettriche divenute un peso insostenibile. L’eccesso di offerta di elettricità, il calo dei consumi e l’aumento della produzione d’energie rinnovabili sono all’origine della chiusura. L’Enel intende così anticipare il cambiamento puntando sulla tecnologia e l’innovazione per offrire al mercato un servizio con prodotti ad alta efficienza energetica e una gestione intelligente dei consumi.
Il settore elettrico dall’inizio della crisi ha subito una trasformazione epocale e solo nel 2011 si prese piena coscienza dell’inaspettata crescita del fotovoltaico che, combinato col calo dei consumi, avevano ridotto drasticamente il numero di ore di funzionamento delle centrali a gas rendendole antieconomiche; rispetto alle 4.120 ore di funzionamento del 2007 se era passati a sole 2.633 nel 2011, mettendo così fuori mercato quelle ad olio combustibile. Altri effetti contro la termoelettrica, sono stati: il calo del prezzo dell’energia all’ingrosso e del prezzo del gas metano.
Ma il ridimensionamento non si esaurisce con le 23 dismissioni anzidette perché prosegue e presto si avrà un altro elenco. In discussione sono: la centrale di Brindisi di A2A (dove si smantelleranno le unità 1 e 2), Sermide e Chivasso dove sono stati fermati due gruppi da 400 MW; Ponti sul Mincio, Monfalcone e San Filippo del Mela in Sicilia, destinato probabilmente ad una conversione nel settore dei rifiuti; infine Cassano d’Adda per cui A2A ha chiesto l’ok per la dismissione della unità ed entro la fine del mese di settembre si completerà lo stop della storica centrale a carbone di Genova.
Di fatto si è chiuso un ciclo e per il futuro si va verso un modello elettrico basato sulle fonti rinnovabili, supportato da una rete smart. Visto il numero di impianti coinvolti non sarebbe fuori luogo una riflessione politico-sindacale di livello nazionale, in particolare per considerare i possibili effetti sull’occupazione. Ma nel nostro Paese le priorità risultano sempre altre, compresa la sconsolante diatriba sulla necessità di riformare la Costituzione, il fertili day ecc. ecc.
La domanda che mi faccio di continuo è: ma noi e gli altri sindacati mentre accadeva tutto ciò dove eravamo sulla luna? Possibile che nessuno ha capito la portata di quello che si andava prefigurando? Non parliamo poi della politica e dei politici SILENZIO ASSOLUTO tutti bravi solo a sbraitare in televisione.
Scoprire tutto questo mi ha amareggiato molto ma poi mi è venuta spontanea la domanda che immagino si fa anche chi legge che è:
PERCHE’ PUR CALANDO I CONSUMI DI ENERGIA ELETTRICA LE BOLLETTE AUMENTANO?
Da un articolo di Veronica Ulivieri dell’otto settembre scorso su (LA STAMPA inchiesta) leggo che Un MW di elettricità da carbone é pagato 800 euro anziché 30. Le rinnovabili sono cresciute, ma le regole del mercato sono rimaste le stesse. E a pagare il prezzo di un sistema imperfetto e delle speculazioni sono sempre i cittadini. Gli ultimi aumenti sono stati, temporaneamente, bloccati dal Tar della Lombardia. In attesa di sapere se ci saranno sanzioni per i produttori e i grossisti di energia elettrica responsabili dei rincari in bolletta, rimane il problema di un sistema non più al passo con i tempi che continua ad applicare aumenti ingiustificati. Lo scenario in cui si sono consumati gli aumenti del 4,3% per la luce e dell’1,9% per il gas, deliberati dall’Authority a giugno 2016 e poi bloccati il 20 luglio 2016 dal Tar della Lombardia, è sempre lo stesso non ha subito alcun cambiamento nonostante lo scenario produttivo è passato, in modo consistente dal carbone alle rinnovabili al punto che a luglio 2016 ha coperto quasi il 40% del fabbisogno nazionale.
In mancanza dello stop del Tar, i costi lievitati per centinaia di milioni di euro sarebbero andati a pesare, sulle tasche dei consumatori che hanno deciso di rimanere nel mercato di maggior tutela, illudendosi di essere più protetti.
Il segno più, dicono sia dovuto ad un aumento dei costi per il dispacciamento, l’attività con cui Terna, aggiusta il sistema in tempo reale, tenendo in equilibrio domanda e offerta. Queste operazioni, spiegano gli esperti “diventano sempre più importanti di pari passo con la crescente diffusione delle rinnovabili, che per loro natura non garantiscono energia in continuo”. A rispondere alle richieste di aiuto di Terna sono i grossi impianti idroelettrici o alimentati a fonti fossili. E sono proprio le centrali termiche le principali imputate perché, in molti casi presentano offerte di vendita solo quando per loro è più conveniente. Cioè non il giorno prima, quando si negozia il grosso dell’energia per l’indomani con prezzi oggi molto bassi, ma il giorno stesso per il dispacciamento, mercato su cui i prezzi sono decisamente più alti. “Gli impianti termoelettrici che come visto sono fuori mercato per la diffusione delle rinnovabili: oggi riescono a coprire i costi proprio con il dispacciamento. Servizi che, quando c’è il bisogno urgente di tenere in equilibrio la rete, le centrali forniscono anche a peso d’oro: “Alla centrale a carbone di Brindisi Sud, per esempio, Terna è arrivata a pagare 800 euro per MW, contro i circa 30 euro a cui un MW veniva scambiato sul mercato del giorno prima”.
I costi, lievitano anche “perché, trattandosi di impianti termici, Terna non paga solo per l’ora in cui la centrale viene in soccorso, ma anche per il tempo necessario ad avviare l’impianto”. Se differenze di prezzo così alte siano giustificabili dovrà appurarlo l’Authority, ma certo è che questi extra-costi sono una grossa anomalia. Il mercato dell’energia va riformato per far sì che l’aumento delle rinnovabili possa avere il suo spazio senza il formarsi di picchi di prezzo sul mercato del dispacciamento”. Che, poteva essere giustificato quando la domanda energetica era alta e le fonti rinnovabili intermittenti erano una piccola parte ma oggi siamo in condizioni opposte e nonostante ciò: se, come si prevede, continuerà la crescita delle rinnovabili e rimarrà il ritardo nelle tecnologie di stoccaggio, l’intermittenza dell’energia continuerà a essere un problema per niente trascurabile. Per completare l’informazione diciamo anche che le centrali a fonti fossili non sono le uniche attenzionate dall’Autorità per l’energia perché lo sono anche: i grossisti e gli impianti di produzione da fonti rinnovabili. In entrambi i casi si mette in dubbio la correttezza di atteggiamenti speculativi abbastanza diffusi: per esempio “Era diventato facile capire se il giorno dopo il mercato avrebbe avuto necessità o sovrabbondanza di energia e gli operatori cercavano di mettersi sempre in posizione di vantaggio. I trader, quando prevedevano che il giorno dopo ci sarebbe stata una domanda maggiore del previsto, acquistavano più energia il giorno prima a prezzi inferiori per rivenderla l’indomani a prezzi più alti, nei momenti in cui era necessario bilanciare il sistema”. Anche gli impianti alimentati a rinnovabili intermittenti, per riequilibrare il mercato ottenevano un premio, che l’Authority ha deciso di ridimensionare per scoraggiare simili comportamenti.
Concludo con una domanda: ma questa Italia dove nasce prima l’inganno/frode e poi la legge è quella che solo qualche decennio fa si fregiava di essere tra i primi cinque Stati più evoluti del mondo? Se si non sarebbe di chiedersi il perché e agire di conseguenza.
S a v o n a, 24 Settembre 2016
L u i g i V i g g i a n o
F n p S a v o n a